Le donne oggi

27.04.2021

A un anno dalla diffusione dell’epidemia di Coronavirus ci troviamo a fare i conti con le ripercussioni che la stessa ha causato, tanto dal punto di vista sanitario, quanto dal punto di vista sociale ed economico.

Vorrei, oggi, porre l’accento sull’impatto che l’emergenza epidemiologica e le misure volte a contrastarla hanno avuto sulla situazione economica delle aziende, delle società, dei lavoratori autonomi, dei lavoratori in genere, ma, in particolare, delle lavoratrici.

È incontestabile che l’attuale situazione ha pesantemente coinvolto la situazione lavorativa femminile, investendo in modo molto differente i diversi settori, in relazione sia all’attività esercitata che alla necessità di poterla svolgere o meno in modalità remota.

Seppur è da riconoscere che, con il passare del tempo, generazione dopo generazione, la figura femminile stia sempre più trovando una propria autonomia, un’emancipazione sociale, economica e politica, è, ancora oggi, innegabile che la donna sia considerata il principale punto di riferimento del focolare domestico rivestendo un ruolo di estrema importanza all’interno della famiglia.

Se prima la donna era “soltanto” equiparata a “padrona e regina della casa”, oggi si trova a gestire una vasta rete di relazioni che non si riducono esclusivamente al nucleo familiare, bensì, si estendono anche al mondo del lavoro, impegnandola alla conciliazione dei tempi del lavoro con quelli della vita familiare, come la cura della casa, dei figli e degli anziani. 

Questa continua ricerca di equilibrio tra famiglia e lavoro è diventata ancor più delicata durante tale particolare periodo storico: il lockdown ha aggiunto compiti familiari non irrilevanti come la cura ed il supporto dei figli anche in quelle ore che prima erano dedicate alla scuola, l’assistenza nelle attività scolastiche in modalità remota, nonché il soccorso dei parenti bisognosi di cure.

Non si sta mettendo in dubbio che, soprattutto negli ultimi anni, anche la figura maschile stia iniziando ad avere un ruolo centrale nella gestione del nucleo famigliare, tuttavia, gli indicatori evidenziano che, in questo periodo, in cui si è reso necessario dividere i compiti ed, in alcuni casi, decidere chi dei due coniugi avrebbe potuto continuare a lavorare, siano state le donne ad aver dovuto abbandonare il proprio ruolo in campo lavorativo, ciò, probabilmente, dovuto anche dal fatto che, in genere, il mondo femminile guadagni in media meno rispetto agli uomini e/o che abbiano, generalmente, contratti part time o meno garantiti.

Le donne sono, quindi, state le protagoniste di questa pandemia, perché se alcune, sono dovute rimanere ad accudire casa, figli, anziani e famiglia, destreggiandosi in alcuni casi con il lavoro in smart working, l’altra parte è rimasta in prima linea ad affrontare i servizi primari operando nei settori «essenziali» in cui si è continuato a lavorare offline.

Si tenga presente che, i due terzi del personale sanitario e dei servizi sociali è composto da donne, ma anche la maggior parte dei lavoratori nella vendita al dettaglio -pensiamo ai supermercati-, nei call center e nelle attività di pulizia, sono di sesso femminile.

La pandemia sta, quindi, inasprendo disuguaglianze preesistenti e rischia di vanificare, almeno in parte, i passi avanti degli ultimi decenni sul fronte della parità di genere allontanando ancora una volta l’obiettivo delle donne dal raggiungere l’uguaglianza dei diritti con gli uomini.

A prescindere dalla formazione culturale e/o dalla professione, il genere femminile ha maggiori difficoltà a trovare un lavoro e, in ogni caso, a parità di lavoro, lo stipendio percepito è più basso di quello del collega di sesso maschile, inoltre, quest’ultime faticano molto di più ad occupare ruoli di potere e decisionali, ancora appannaggio degli uomini.

La pandemia sta agendo in un contesto, italiano e globale, in cui le disparità di genere nel mondo del lavoro sono già una criticità: il gender pay gap mondiale, cioè la differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini, è intorno al 20%.

Al di là delle retribuzioni, il problema di occupazione femminile è da ricercarsi all’origine: l’esclusione delle donne dal mondo del lavoro viene, spesso, interpretata come conseguenza di una loro scelta, quella di prediligere il lavoro di cura della casa, rispetto ad un’occupazione al di fuori del contesto familiare. Se questo può essere vero in alcuni casi, è, altrettanto, vero che spesso si tratta di una scelta obbligata. Non solo da preconcetti sul ruolo della donna nella società, ma dalla carenza di norme e servizi adeguati a facilitare la vita lavorativa delle donne e ancora di più delle madri.

Per questo motivo il legislatore si è preoccupato, con la Legge di Bilancio 2021 – Legge 30 dicembre 2020, n. 178 -, di introdurre nuovi bonus per favorire l’occupazione femminile: i beneficiari hanno diritto ad uno sconto sui contributi dovuti dal datore di lavoro, pari al 100%. Tale esonero contributivo può essere concesso per l’assunzione di donne svantaggiate, ovvero che rientrano nelle seguenti categorie: donne con almeno 50 anni di età e disoccupate da oltre 12 mesi; donne residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, indipendentemente dall’età; lavoratrici che svolgono professioni o attività lavorative in settori economici caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, senza limiti di età; donne di qualsiasi età, ovunque residenti, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi.

Appare, dunque, evidente che, seppur ci troviamo di fronte ad un’agevolazione a favore del lavoro femminile le limitazioni per accedere al bonus sono piuttosto stringenti, nonostante tutto le donne non si rassegnano e cercano di guardare avanti per superare gli ostacoli che incontrano sul loro cammino, pronte a ricominciare. La storia ci insegna che l’universo femminile ha un migliore atteggiamento al presentarsi delle difficoltà ed offre risposte concrete nell’affrontare le criticità in genere, ponendosi in modo corretto nei termini e nei comportamenti con un’ottima capacità di “resilienza”, continuando ad offrire uno sguardo positivo e di speranza.

Magari cadono, ma si rialzano perché hanno il coraggio di mettersi in gioco e di giocare la loro partita.

Ovviamente non tutti gli uomini sono degli orchi e non tutte le donne sono delle principesse.

L’esposizione di questa situazione non vuol essere una critica o un grido disperato del mondo femmine, ma solo la denuncia di una situazione che, ancora, nel ventunesimo secolo, ci troviamo ad affrontare. Mi auguro che ciò a cui stiamo assistendo sia solo l’ultima fase di un cambiamento che vede sicuramente un progresso nella considerazione del ruolo femminile, ma che ancora risulta legato a stereotipi che avendoci accompagnato culturalmente per generazioni sono difficili da allontanare.

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